domenica 29 gennaio 2012

CONTRIBUTO DI GIANNI GARENA ALLA RIUNIONE LAPS! INTERESSANTISSIMO!!

LaPS
tra presenza, pensiero, voglia di conoscenza e di impegno
….verso un mission/vision di apocalisse


Negli ultimi incontri del LaPS sono circolate e si è discusso di parole chiave, di idee/saperi, di questioni (probabilmente afferenti a forme di pensiero debole che, volendo, potremmo considerare vicine all’ermeneutica moderna di Vattimo ed alla fenomenologia di Paci e Rovatti) sulle quali sicuramente ci sentiamo determinate/i a esserci e ad impegnarci nei processi sociali di cui vogliamo occuparci.
Ci siamo detti, tra l’altro, che: 
-       le cose cambiano cambiandole ! Consideriamo come la realtà in cui si muovono le politiche sociali, in generale, e sicuramente a livello di città di Torino, sono caratterizzate da frammentazione, fragilità, sfarinamento. Questa frammentazione che fa da denominatore comune caratterizzante anche nel gestire i paradossi derivanti dalle diverse rappresentazioni dei diversi bisogni 
-       un testimonial tra i “decisori”, messo al corrente della esistenza e del lavoro del LaPS dice “….interessante il lavoro del LaPS, però…..è roba da comunisti”……
-       la crisi è così profonda da non consentire più ai coraggi individuali di diventare coraggio collettivo
-       la crisi è così profonda da non consentire l’elaborazione dei lutti e la costruzione di strategie di opposizione raccordata tra forze e componenti diverse. Nella crisi, ciascuno e ciascuna parte pare sempre orientata a “sfangarsela” da solo/a; si è imposto uno schema per cui la salvezza e salvaguardia di una parte coincide con la sconfitta-scomparsa di un’altra. La crisi è quindi crisi del “noi” e dei processi aggregativi, della sensibilità ad occuparsi dell’altro-altri in difficoltà; si sviluppa al contrario insensibilità e indifferenza ai traumi delle altre parti   
-       continuiamo ad usare parole di cui abbiamo perso il senso (tra queste parole, democrazia, partecipazione, solidarietà, equità, giustizia, salute, bene, ben-essere, ….politica)
-       c’è ricchezza di saperi, c’è conoscenza nei servizi e nelle comunità, nell’associazionismo ! Ma questo sapere fatica a circolare ed a diventare azione in grado di incidere e provocare cambiamenti
-       servizi e operatori sociali si stanno rapidamente allontanando dai bisogni e dalla vicinanza con la gente. E molti operatori sembrano stare benissimo in questa lontananza !
-       occorre trovare un filone di lavoro che ci accomuni ad altre lotte/iniziative e che ci faccia guardare oltre, oltre le nostre organizzazioni, oltre il nostro ristretto orizzonte... Ad es il tema/nozione di bene comune, considerare il welfare un bene comune insieme ad altri beni (trasporti locali, lavoro, acqua...).  La nozione di bene comune ci permette anche di uscire dalla polarità  privato/pubblico: non si tratta di difendere a priori l'intervento pubblico (quanti guasti in questi anni) e tantomeno il privato (oggi così di moda nelle liberalizzazioni) e su cui, nonostante l'esperienza, ci dicono di fare affidamento cieco.
-       è consigliabile che il LaPS esprima un proprio programma di lavoro anche fondato sugli esiti emergenti dal questionario inviato a tutta la mail list . Si ribadisce l’importanza  che tutti/e coloro che hanno a diverso titolo finora partecipato al Laboratorio, esprimano il loro parere su alcune questioni che possono orientare le scelte future del LaPS . In particolare, le funzioni -  dimensioni – attività  che si ritengono più rilevanti, la dichiarazione di disponibilità di tempo (individuale e collettivo) da dedicare a queste attività, la forma organizzativa attraverso la creazione del Comitato
-      è consigliabile condurre idee, ragionamenti, analisi, proposte a contesti limitati (ad es il territorio di una circoscrizione) anche per incrociare dati e informazioni in possesso ai diversi attori locali. In questi contesti sarà possibile affrontare alcuni fenomeni emergenti: ad esempio la riduzione degli accessi  registrati da alcuni servizi socioassistenziali del Comune nell’ultimo anno a fronte di duplicazione-triplicazione degli accessi ai diversi sportelli del volontariato o dell’associazionismo.
 
Una lettura emozionale di queste punti sembra rimandarci al testo – e alla musica - di chiamami ancora amore di Vecchioni
…..stanno uccidendoci il pensiero, ….i signori del dolore stanno gettandoci la memoria al vento
ma…..
….questa maledetta notte dovrà pur finire, e la riempiremo NOI di musica e parole…..perché le idee  sono come farfalle, come stelle, come voci di madre, …..come il sorriso di Dio……

Tentando (anche) una lettura analitica, è evidente come ci troviamo in presenza di problemi sociali complessi ma affrontati con una forma organizzativa che pare studiata appositamente per negare queste complessità:   il modello dominante è di tipo  burocratico meccanico per tutte le strutture operative centrali e decentrate, le attività sono fondate su rigidi principi gerarchici sovraordinati, i canali di comunicazione e le regole di lavoro sono rigorosamente standardizzate e caratterizzate dalla più ferrea normatività di  comportamenti formalizzati.

Gestire oggi pratiche di lavoro sociale su basi burocratico-meccaniche  comporta, inevitabilmente, che le consuetudini hanno un peso determinante, gli utenti sono meri oggetti della attività, l'ambiente interno è sclerotizzato (e in molti settori ammorbato), l’impianto normativo rappresenta per la dirigenza (ma anche per una parte rilevante dei quadri intermedi e degli operatori) un vincolo o alibi, non si autovaluta, non si sviluppano le risorse umane interne, le finalità complessive non sono percepite, la misura del successo è unicamente legata al rispettare/far rispettare le regole, l'autonomia tecnico-professionale è continuamente messa in discussione, la programmazione è unicamente legata alla distribuzione di risorse (sempre più scarse) ed  é orientata al controllo e agli atti, sono limitati o inesistenti gli orientamenti alla qualità e alla misurazione dell'efficacia degli interventi, la formazione e la supervisione vengono viste come pericolo.

Questa lettura (forse spietata, ma realistica !) impone a chi si sente, a chi vuole occuparsi di politiche sociali per la nostra città, di enunciare – e far conoscere – un impegno individuale che può divenire impegno collettivo nell’ azione del LaPS.  Impegno del LaPS che essenzialmente si indirizzi
  1. a mettere insieme elementi di analisi, di conoscenza, per “fare cultura” e costituire una coscienza critica costruttiva nelle logiche di un “noi” più esteso possibile 
  2. a produrre ipotesi di buone prassi a partire da buone domande che interroghino le competenze politiche e tecnico-scientifiche in campo. 

Rispetto al punto 1,  si tratta di difendere e promuovere Politiche Sociali (attraverso i servizi sociosanitari, i diversi attori del terzo settore, i  servizi del welfare esteso della città di Torino) in quanto “beni pubblici”, “beni comuni” non commercializzabili. Beni che nessuno Stato, nessuna Regione, nessun Comune, può privatizzare o aziendalizzare” asservendoli alle regole del mercato e del profitto. Politiche Sociali, quindi,  come luoghi “vivi” di esercizio della giustizia e della solidarietà che si occupano della salute e del ben-essere di tutti, luoghi di diritti che sono da considerare “patrimoni dell’umanità” ( cioè appartenenti a tutti ed a ciascuno), luoghi in cui abitare dimensioni di responsabilità sociale pubblica all’interno di organiche forme di partecipazione – coprogettazione per garantire che quei diritti siano esigibili e costituiscano opportunità per  costruire alleanze trasversali sul bene salute.

Rispetto al punto 2, le domande da cui partire sono molte. Tra queste
-       come guardare ad una nuova cultura organizzativa dei Servizi superando gli esiti negativi dei processi di aziendalizzazione, della parcellizzazione e dequalificazione degli interventi, della delegittimazione delle capacità diagnostiche, della delegittimazione del fondamentale lavoro degli operatori per produrre beni relazionali utili alle persone e alle comunità ?
-       come affermare l’esigenza di fare ricerca per trovare forme e strumenti in grado di affrontare l’attuale generalizzata frammentazione tra le persone e le organizzazioni che agiscono nelle politiche sociali cittadine ?   
-       come avviare una utile ed incisiva riflessione sulle solitudini degli operatori ? come andare oltre le mere lamentazioni, misurandosi col nuovo e con diverse dimensioni “possibili” del lavoro professionale nel sociale ?
-       come evitare autoreferenzialità e confrontarci il più possibile con…..?  Con i  diversi movimenti, i diversi attori, le diverse epistemologie di narrazione e interpretazione delle politiche sociali cittadine, il modo delle economie solidali, i giovani che di affacciano alle professionisti del sociale, i giovani volontari e cooperatori disposti a mobilitare le loro nuove intelligenze verso le politiche sociali che verranno…..
-       siamo ad un triste tramonto, oppure siamo all’alba di una nuova dimensione-sfida delle politiche sociali e delle relative organizzazioni ?
-       possiamo rivedere il nostro e l’altrui linguaggio per ridiscutere e dare senso alle parole usate e abusate in questi tempi complessi ? quali significati oggi ci servono – e sono narrabili e verificabili nelle storie di vita quotidiana – rispetto alle Politiche Sociali ? cosè oggi, per il nostro costruendo NOI, politica, politica sociale, solidarietà, giustizia, esigibilità del diritto, democrazia, uguaglianza ed equità, pace (….da un po’ non se ne parla !), partecipazione, tolleranza,……………..??????   


Per affrontare queste domande, per costruire ipotesi culturali e politiche, serve oggi – a mio sommesso parere - …… un’apocalisse !  Apocalisse nel significato proprio di disvelamento, di azione profetica per abbassare il velo e la nebbia, di fare luce rispetto alle caratteristiche di  questa modernità liquida torinese di cui ci vogliamo occupare.  Apocalisse come esercizio di coraggio (appunto, come visto sopra, ….consentire ai coraggi individuali di diventare coraggio collettivo) per “dis-velare” truffe e raggiri, trappole, differenziali semantici, per smetterla di usare parole – nei documenti, nelle delibere, negli atti, nelle discussioni -  del cui significato  non siamo più sicuri; parole che parlano di un mondo che non c’è più, legate a valori oggi apparentemente irrealizzabili, quotidianamente smentiti e umiliati; parole che gargarizziamo ma che non entrano nella vita delle persone, non sono capaci di liberare e di aiutare a liberarsi.

A puro titolo di esempio, provando a svolgere una esercitazione su uno di questi termini, la SOLIDARIETA’, o SOLIDARIETA’  SOCIALE , o DIRITTO ALLA SOLIDARIETA’  SOCIALE, potrebbero emergere le seguenti prospettive di apocalisse

Apocalisse a partire dai primi quattro articoli della Costituzione oggi assolutamente ignorati o dimenticati , inevasi, privi delle necessarie condizioni di esigibilità, fuori dalle priorità culturali prima che politico-economiche dei governi. Nessuna forza politica ha oggi il coraggio di denunciare apertamente questo gap tra diritto proclamato e diritto praticato (oggi, e probabilmente nell’immediato futuro …..impraticabile) e di affermare pubblicamente che non siamo più in uno Stato di diritto dove c’è sempre meno Res-Pubblica e sempre più Res-Privata !
Così avanza una cultura nefanda secondo la quale, in sostanza,  “….una cosa è quanto scritto nella Costituzione, un’altra cosa  la sua attuazione e garanzia”.
La Solidarietà di cui si parla nell’art.2 è totale, globale, ….non si scappa ! La Res-Pubblica - quella fondata sul valore e diritto fondamentale LAVORO come da artt. 1 e 4 – si basa, si regge  su un patto di cittadinanza fondamentale: riconosce e garantisce i diritti inviolabili (dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità), e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà nelle tre accezioni integrate di solidarietà politica, economica e sociale. L’aggettivo “inderogabile” è il più potente, nella lingua italiana, per significare perentorio, categorico, tassativo, indilazionabile, …che deve essere assolutamente rispettato, di cui non se ne può, non se ne deve fare a meno (pena la rottura del patto medesimo)!    
Questo concetto fondativo della nostra Res-Pubblica torna immediatamente ad essere ribadito nell’art.3 (la dignità e l’uguaglianza) in ordine “alla rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Apocalisse, rispetto a quanto espresso dalla Legge 8 novembre 2000 n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” che all’Art. 1(Princìpi generali e finalità) al punto 5 afferma,  tra gli scopi  del sistema integrato di interventi e servizi sociali, “la promozione della solidarietà  sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà  organizzata”.
Questi scopi sono ribaditi al succ art Art. 16  a proposito del “ l’esigenza di favorire le relazioni, la corresponsabilità e la solidarietà  fra generazioni, nonché all’Art. 19 a proposito della definizione del Piano di zona  ove i “Comuni ….provvedono…. a definire il piano di zona, che individua….le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità” per “favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto….”

Apocalisse rispetto a cose di cui non si discute mai, o se ne discute pochissimo (forse perché è difficile discuterne).
-       Ad esempio, gli atteggiamenti (solidaristici?) degli operatori che esercitano professioni di aiuto nei confronti delle povertà che incontrano ogni giorno sul loro cammino fuori orario di servizio. Troviamo atteggiamenti distinguenti questi professionisti della solidarietà dagli atteggiamenti di altri cittadini ? Troviamo atteggiamenti giusti (o più giusti ), esistono atteggiamenti – comportamenti etici (o più etici)in grado di battere il fastidio e/o l’indifferenza ? Quali oggi le condizioni culturali e organizzative per praticare una giusta solidarietà in termini professionali ? quali i confini ed i limiti di setting (orari di lavoro, disponibilità, carichi di lavoro e di com-passione…..)  
-       Ad esempio, l’azione solidaristica professionale quando l’intervento non è richiesto dall’utente-paziente. Che cos’è oggi la solidarietà obbligata da fornire e da ricevere ?  
-       Ad esempio, perché diamo per scontato che le più rilevanti manifestazioni di solidarietà individuale e collettiva ricerchino situazioni di straordinarietà (vds calamità naturali, guerre, carestie, persecuzioni di massa,….) ed entrino in crisi o si ridimensionino in situazioni di ordinarietà (magari “liquida” e “limacciosa”)? Perché non ci interroghiamo se gli 8 milioni di italiani (quanti in Torino ?) che risultano appartenere a organizzazioni di volontariato sono 8 milioni di persone veramente solidali ? perché non accettiamo che oggi solidarietà ed indifferenza ballano in coppia sul ritmo dell’insicurezza ?

Apocalisse per far emergere un vizio, un peccato capitale, un male  dominante il nostro tempo: l’accidia. Questa si manifesta attraverso la noia, l'indifferenza, l'afflizione, lo scoraggiamento che induce persone e formazioni sociali a lasciare – lasciarsi  perdere di fronte alle difficoltà, a smarrire ogni tensione e passione politico-culturale, all'instabilità….fino allo  sconforto. Recenti approfondimenti sulle cause psicosociali dell’accidia evidenziano la smodata autoreferenzialità e autocentratura che porta attori individuali e collettivi a valutare ogni fenomeno unicamente in funzione dei propri bisogni, della propria idea e vision del mondo, dei propri desideri e giudizi.

In attesa …..dell’apocalisse, qualche riferimento alla dottrina sociologica ci aiuta a considerare i termini di assoluta complessità della Solidarietà (in senso lato) e della Solidarietà Sociale (in senso più specifico anche riferito alla possibile configurazione di cui all’art. 2 della Costituzione).

La letteratura sociologica intende la Solidarietà prevalentemente come
-       capacità dei membri di una collettività (comunità) di agire nei confronti di altri come soggetto unitario. Tale capacità implica correlazioni con le determinanti del sistema sociale, del livello di integrazione sociale, del consenso; 
-       necessità e capacità (elementi distinti e sempre da correlare, in sostanza ci può essere necessità, ma non sussistere la capacità) della società civile, in tutte le sue espressioni attive, di assumersi responsabilità virtuose rispetto ai processi di esclusione sociale e alle persone in condizioni di disagio nella normalità della vita. Ecco quindi subito comparire, correlata alla solidarietà, la  responsabilità;
-       matrice socioculturale e base etica che legittima e motiva le relazioni intersoggettive ed i rapporti funzionali che ogni collettività costruisce quotidianamente ad opera dei soggetti che in essa agiscono;
-       elemento processuale unificante una organizzazione sociale che ne costituisce i riferimenti generativi di autoidentificazione e di responsabilizzazione. In tal senso la solidarietà è costituita da processi sociali complessi che ne modificano continuamente la conformazione;
-       costruzione simbolica, oggettivata in strutture e azioni, interiorizzata dai soggetti, che prevede diversificazioni all’interno della stessa società o all’esterno.   
E, sempre in letteratura, troviamo alcuni  elementi costituenti  - e vincolanti - la solidarietà in una determinata organizzazione sociale[1]. In particolare:
l’ Identità sociale: condivisa dai membri, il riconoscimento di ciò che definisce il “noi” (…eccolo qui !)
la Reciprocità: disponibilità a rapportarsi ed avere scambi  - di doni materiali o simbolici, di credibilità, di vantaggi - vicendevoli tra i membri. Mette in gioco aspetti cognitivi, affettivi  ed emozionali con particolare riguardo alla fiducia[2] in termini di credito e affidabilità dato all’altro individuo o ad un sistema di relazioni
la Responsabilità: disponibilità ad assumersi obbligazioni, impegni; disponibilità ad accettare l’imputazione delle azioni che si compiono, a motivare ciò che si sceglie di fare, ad assumere con altri e per altri obiettivi-costi-rischi-risultati-effetti delle azioni nel contesto della comune convivenza
la Tensione: la continua esigenza di combinazione o di conflitto tra le tre componenti di Identità, Reciprocità, Responsabilità; la continua esigenza di gestire rapporti di inclusione (di nuovi membri) e di esclusione (di membri interni devianti). E’ evidente come nell’attuale società, fortemente caratterizzata da individualismo-individualizzazione, questi tre elementi assumono caratteristiche conflittuali; particolarmente acuto il conflitto sul riconoscimento dell’altro. La negazione del riconoscimento tra individui e gruppi (….”io non ti conosco”) oscilla tra diversi livelli: dall’estremo della  distruzione dell’integrità fisica, all’esclusione dal godimento di diritti (vds il diritto alla cittadinanza per i minori figli di immigrati), alla disistima ed alla negazione di considerazione sociale per determinati valori e stili di vita.  Il riconoscimento solidaristico dell’altro è oggi estremamente complesso; secondo Habermas[3] occorre un forte diritto (esigibile) che tuteli in modo generalizzato i rapporti tra le persone e le collettività, diritto che va costruito attraverso permanenti procedure discorsive e dialogiche che mirino all’intesa tra i diversi soggetti che si sentono partecipi di un’etica pubblica condivisa. 


Ovviamente, questi sono solo primi sintetici appunti su questa tematica così vasta e complessa che va sotto la dizione SOLIDARIETA’ e SOLIDARIETA’ SOCIALE, appunti – se si ritiene utile - da verificare ed integrare, aperti al contributo di tutti.
Qualora questo metodo di lavoro potesse esser giudicato proficuo rispetto all’impegno 1 del LaPS ( mettere insieme elementi di analisi, di conoscenza, per “fare cultura” e costituire una coscienza critica costruttiva nelle logiche di un “noi” più esteso possibile), potremmo provare a ridiscutere e dare senso ad altre parole rilevanti correlate alle Politiche Sociali.





15 gennaio 2012
gianni garena


[1] I.De Sandre, E.Bianchi, Solidarietà e soggetti:servizio sociale e teorie di riferimento, Fond.Zancan, Padova, 2000
[2] D.Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, 1989
[3]J.Habermas, Solidarietà tra estranei, Guerini, Milano 1998

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